La primissima memoria di queste due settimane è una scena nell’appartamento dove mi hanno portata subito dopo l’atterraggio in Cina e dove sarei rimasta per i successivi 10 giorni di quarantena centralizzata obbligatoria a Nanchino. Nell’appartamento vicino al mio c’era un signore che urlava al telefono: “Sì, sono arrivato… pronto! Sono qui… sono a Nanchino!’’
Il trasferimento è stato lungo: siamo atterrate alle 17:25, in orario, ma tra mille file e controlli in aeroporto siamo giunte nel palazzo con l’appartamento per la quarantena solo verso le 22.00.
Mi sono buttata sul divano, distrutta dalla stanchezza e dalla tensione: avevo vissuto le 72 ore precedenti la partenza con l’angoscia continua per i tamponi, il green pass e le altre formalità burocratiche per poter entrare in Cina. La mente era vuota, ma avevo un’immensa sensazione di orgoglio, di soddisfazione, sapendo di aver fatto le scelte giuste.
Mi ci è voluto un po' di tempo per capire che mi faceva bene essere in viaggio. Per me un viaggio può essere un libro, un’idea, una conversazione; è un mezzo con cui approcciarsi al mondo esterno e sentirsi viva. Mi sono detta che ancora non volevo fermarmi.
Conclusa la quarantena, ci siamo spostate a Pechino. Vengo da una piccola cittadina della Cina e non l’avevo mai visitata: qualsiasi cosa vedessi e sentissi nei primi giorni era nuova per me.
Si, sono di origine cinese, e tante cose mi sembrano familiari, perché andando in giro sento la gente che parla la mia madre lingua, quando con Martina ed Elena saliamo su un taxi sono sempre portavoce del nostro gruppetto, ma sono anche quella che si stupisce di più ogni volta che ci salta all’occhio una cosa nuova. I pagamenti solo con il cellulare, l’anatra alla pechinese, prendere la metro, chiamare un taxi… ci chiamiamo tubaozi, una parola cinese per scherzare quando una persona si stupisce per qualsiasi cosa, come un campagnolo che arriva in città per la prima volta nella vita.
È differente dalla Cina che ho visto 6 anni fa o dall’immagine della Cina che avevo nella mia mente. Mi stavo dimenticando quanto fosse grande e bella. È un paese che si evolve con la velocità di un razzo: al fianco dei quartieri tradizionali pechinesi diventano realtà le scene dei film di fantascienza.
La curiosità verso le novità ha mascherato nelle prime settimane quelle emozioni che si facevano sentire già alla partenza. Quando si è placata la fiamma ardente dell’eccitazione per la scoperta, c’è stato un effetto molla che mi ha riportata ad altri affetti: la nostalgia per le persone care, lo stress per le molte scadenze, la paura per l’ignoto.
Come la prima sera in Cina è degna di essere ricordata, così lo è il primo pianto. Una mescolanza di emozioni che non ho saputo spiegarmi al momento, ma dopo il suo passaggio riuscivo a vedermi meglio da lontano, con la limpidezza di una meditazione profonda.
Ho ripetuto quello che mi sono promessa prima della partenza, cioè di darmi del tempo. Credo che i sorrisi e i pianti siano tracce della vita, perché ognuno li ricorderà anche da vecchio e in questo viaggio si uniscono.
Alice Daling, Casco Bianco SCU con OVCI in Cina