“Essere educatrice in Cina”, più che affermazione la trasformo in una domanda di cui in realtà non ho alcuna risposta, solo ulteriori interrogativi. L’ultimo mese di servizio civile, forse, sarò in grado di rispondere con cognizione di causa.
Attualmente, mi sento spettatrice di un gioco di squadra che mi sembra in parte conosciuto, ma di cui mi sfuggono le regole e sto cercando di osservare il più possibile tutti i dettagli per cogliere il senso di ogni azione. Non conosco la lingua con cui si parla, non capisco l’ordine dei passaggi del set e mi sfuggono i tempi delle azioni, però la palla con cui si gioca è la stessa e così anche gli obiettivi che portano alla vittoria.
In questo immenso Paese, la figura professionale dell’educatore non esiste formalmente; di conseguenza, non vi è un vero e proprio spazio dedicato, nonostante però vi sia un lavoro continuo (con i bambini che sono inseriti nel centro di riabilitazione), che mira anche allo sviluppo di tutte quelle abilità e competenze proprie di questa professionalità.
Ho preso parte ad alcune attività, tra luglio e agosto, osservando prima e dando un supporto poi, a stampo educativo, che hanno coinvolto due gruppi di bambini con caratteristiche diverse, per il periodo estivo.
I principali obiettivi su cui si è lavorato sono stati: con una classe l’acquisizione delle autonomie di base e lo sviluppo delle competenze grosso e fino motorie; con l’altra invece si è puntato molto alla socializzazione e al lavoro di gruppo, alla gestione delle emozioni e al lavoro autonomo (declinato, nello specifico, nell’ambito scolastico).
Partecipare a queste classi, per un mese, mi ha dato la possibilità di iniziare a comprendere le regole di quel gioco che mi sembrava così diverso di vederne le sfumature anche meno evidenti, di ascoltare e riconoscere alcune delle parole di questa lingua che mi sembra così diversa e difficile.
Non solo, ho avuto anche (e soprattutto) modo di conoscere i protagonisti di questo gioco: i bambini, la cui dolcezza, bellezza e curiosità sono le stesse in ogni parte del mondo, e alcuni terapisti ed insegnanti speciali che ogni giorno lavorano per il raggiungimento dell’inclusione nelle scuole e nell’ambiente lavorativo e di una possibilità di vita autonoma, per le quali c’è ancora della strada da fare.
Una volta di più la vita mi ha raccontato di una comunicazione e una dedizione che non hanno confini geografici e barriere linguistiche e culturali insuperabili; della forza di un gruppo che si muove nella stessa direzione, smuovendo quello che incontrano lungo il loro cammino; di un sogno che, lavorando insieme, non è più irraggiungibile.
Luna Bellotto, Casco Bianco SCU con OVCI in Cina