Dal mio arrivo ad Esmeraldas sono passati già otto mesi, e durante tutto questo arco di tempo ho potuto conoscere gli aspetti più profondi dell’Ecuador, un magnifico paese del Sud America, definito da molti “Il gioiello dell’America Latina”. Tra la sua cultura travolgente, le sue città bellissime e i suoi panorami mozzafiato, si nota però, a prima vista, anche il grande disagio sociale che colpisce molte famiglie e comunità.
Lavorando con OVCI ho potuto conoscere moltissime persone che vivono in condizioni di difficoltà, e sono rimasto davvero contento e soddisfatto del lavoro che compie OVCI a favore di ognuna di esse, garantendo una presa in carico globale a trecentosessanta gradi. Vorrei quindi descrivervi il lavoro svolto da OVCI raccontandovi, a scopo di esempio, uno dei tanti casi con cui ho lavorato, quello di Esperanza (nome di fantasia): una ragazzina di quindici anni che vive nella provincia di Esmeraldas. L’ho conosciuta a gennaio, quando per la prima volta insieme alla promotrice Alexi ci siamo recati nella sua casa per conoscere la sua storia.
Dalla città de La Union, nel cantone di Quinindè, siamo partiti a bordo di una moto. Abbiamo lasciato gradualmente la città e ci siamo addentrati nel campo; dopo un viaggio di circa un quarto d’ora abbiamo raggiunto la sua casa. All’interno abbiamo incontrato lei, i suoi genitori e le due sorelle minori, rispettivamente di due e dodici anni. Dopo un primo colpo d’occhio e dopo un primo racconto dei genitori, pensavamo si trattasse di un caso di disabilità psicomotoria dovuta ad un’encefalite acuta curata con troppo ritardo. Infatti, la ragazza aveva avuto uno sviluppo psicomotorio normale e aveva vissuto in condizioni di piena salute fino a pochi mesi prima, quando all’improvviso, a seguito di una febbre alta, aveva perso la sensibilità e la motilità dei quattro arti, e non ricordava gli ultimi mesi della sua vita. Quanto successo l’ha costretta ad una nuova vita, in sedia a rotelle e completamente dipendente dai suoi familiari, e l’ha obbligata anche a lasciare la scuola - già difficile da raggiungere prima dell’incidente - e i suoi amici.
Come da routine, quando si incontra un nuovo caso viene eseguita la prima valutazione. La collega promotrice indaga sulla storia, sulle condizioni socioeconomiche e sull’ambiente di vita della famiglia. Da parte mia invece viene eseguita la valutazione educativa: attraverso un colloquio con il beneficiario, ci si impegna a conoscere la persona, a cercare tutti i suoi aspetti positivi, le abilità residue e le competenze presenti, affinché le si possa utilizzare per lavorare sullo sviluppo di quelle che mancano. In armonia con la famiglia ci si occupa anche di informare la persona di tutti i servizi di cui essa può usufruire, fare da tramite e metterla direttamente in contatto con il professionista di cui ha bisogno, che sia un terapista, un medico, uno psicologo o un avvocato, e informarla sui propri diritti. Sulla base di tutto questo alla fine vengono progettati interventi che hanno l’obiettivo di favorire il miglioramento della qualità di vita della persona e della sua famiglia.
Durante il colloquio con Esperanza e la sua famiglia, però, ci siamo resi conto che una serie di aspetti non erano del tutto chiari. In primo luogo, le versioni fornite dai due genitori riguardo quanto accaduto a Esperanza erano discordanti e vaghe. Inoltre, sembrava che da parte di Esperanza ci fosse il tentativo di fornire ulteriori particolari ma che venisse “bloccata” da uno sguardo della mamma, la quale continuava a ripetere che fosse impossibile che sua figlia ricordasse qualcosa. Un altro aspetto fondamentale era che, in base al racconto dei genitori, Esperanza avesse avuto improvvisamente una forte febbre e un forte mal di testa, con episodi di vomito, e che fosse stata accompagnata immediatamente all’ospedale più vicino (a circa due ore di macchina); tuttavia non c’era traccia di alcuna documentazione medica derivante dal ricovero.
Abbiamo insistito con i genitori affinché potessero essere più chiari riguardo alla vicenda. La madre diceva che i medici non le avessero fornito nessun dettaglio sulle condizioni della figlia, né alcun documento, e che i medici avessero tenuto un colloquio solo con la figlia senza la presenza di un genitore. Il padre invece diceva che i medici non sapessero dare spiegazioni, poiché in base agli esami eseguiti la ragazza non presentava nessun problema. Dopo averle somministrato degli antibiotici, Esperanza stava meglio: non aveva più né mal di testa né febbre, ma aveva perso sensibilità e motilità in tutto il corpo.
Trovandoci di fronte ad una storia simile, ipotizzavamo ci fosse dell’altro di cui la famiglia non volesse parlare. Racconti vaghi, sguardi misteriosi, un quadro clinico non chiaro e un clima di tensione generale tra tutti i membri della famiglia. Abbiamo sollecitato i genitori, con rispetto e comprensione, ad aprirsi al dialogo, assicurandogli che qualsiasi timore avessero avuto, noi saremmo stati lì per loro. Ed è stato a questo punto che il padre, dopo un rapido sguardo a sua moglie, iniziò a raccontarci che sua figlia Esperanza era stata vittima di un abuso sessuale da parte del nonno materno, che la ragazza avesse aspettato diverso tempo prima di raccontarlo, circa quattro anni. Inoltre, un altro particolare omesso era stato quello che Esperanza, alcuni mesi prima e quindi in concomitanza con il ricovero in ospedale, avesse avuto i primi sintomi di malessere dopo che a casa loro era venuto lo stesso nonno a fare visita alla famiglia. In quel contesto, alla fine della visita, Esperanza aveva iniziato a stare male e i genitori l’avevano accompagnata all’ospedale. Fu sua sorella maggiore, che non vive più in casa con loro, a trovare il nesso tra i due avvenimenti, poiché lei stessa era stata vittima alcuni anni prima di un tentativo di abuso da parte del nonno, ma era riuscita a difendersi colpendolo con una pietra; anche lei in quel caso non aveva raccontato niente a nessuno a causa degli atti di intimidazione ricevuti dal nonno. È in questo modo che i genitori sono venuti a conoscenza, per la prima volta, degli episodi terribili avvenuti all’interno della loro famiglia, alle loro figlie e a loro insaputa. In seguito al racconto delle due figlie, i genitori avevano deciso di affrontare il problema in famiglia, e alla fine erano venuti a conoscenza del fatto che anche una terza figlia, quella che attualmente ha dodici anni, era stata vittima di violenza da parte della stessa persona.
Il racconto di questo episodio cambiava tutte le carte in gioco. Alla fine del racconto il padre iniziò a piangere, e ci fu un grande silenzio da parte di tutti. Tutti erano da una parte più sollevati per aver condiviso il grande peso che stavano portando, ma dall’altra erano angosciati per quanto sarebbe potuto succedere di lì in avanti. Di fronte all’idea di sporgere una denuncia, i genitori erano molto spaventati: in primo luogo perché si trattava di un componente della famiglia e c’erano in gioco i valori affettivi; in secondo luogo perché temevano che, se avessero tradito un familiare, ci sarebbero state delle conseguenze terribili per loro e per le figlie, e che addirittura avrebbero corso il rischio di essere assassinati dagli altri componenti della famiglia. In tutta la provincia sono molti i casi di questo tipo. Tutti sanno chi è stato a commettere l’atto, ma nessuno fa niente, per paura o per protezione.
Io e la mia collega, in questo caso, abbiamo accolto il racconto della famiglia di Esperanza e i loro timori. Ci sono volute diverse ore di sensibilizzazione, tra racconti e confronti, ma alla fine siamo riusciti a convincerli ad affidarci il caso e a farsi aiutare. Attraverso la stesura del progetto educativo e riabilitativo ci siamo mossi su diverse strade: la prima è stata quella di organizzare un incontro per tutta la famiglia con la nostra collega psicologa, che si è recata a casa loro la settimana successiva e ha iniziato a fornire un appoggio psicologico una volta ogni due settimane a tutti i membri della famiglia; la seconda è stata quella di contattare l’ospedale affinché potesse fornirci la documentazione clinica di Esperanza e affidare la componente medica del caso al nostro collega neurologo che lavora presso la Nuestra Familia di Esmeraldas e che, dopo un’attenta e lunga visita e in accordo con la psicologa, ha potuto constatare che la ragazza soffre di un disturbo post traumatico da stress; la terza è stata quella di contattare il nostro avvocato affinché potesse conoscere il caso, affidare la questione agli organi della giustizia e accompagnare la famiglia durante tutto il percorso giuridico.
Dopo aver creato quindi una rete di supporto intorno a tutta la famiglia, con Esperanza abbiamo iniziato a lavorare nell’area scolastica, offrendole un supporto pedagogico, e nell’area sociale, contattando una buona parte dei suoi amici affinché potessero farle visita e accompagnarla fuori casa. Abbiamo contattato anche la nostra collega fisioterapista, che ha iniziato a lavorare sul recupero della mobilità degli arti e sul rinforzo dei muscoli, che dopo questi mesi passati in sedia a rotelle già iniziavano a perdere il loro tono. Può sembrare strano e impossibile pensare che un trauma psicologico vissuto diverso tempo fa possa risvegliarsi e causare un blocco psicomotorio, ma questo è quanto successo a Esperanza. Abbiamo iniziato a lavorare sull’accettazione del trauma, sul passato, presente e futuro, sulle aspettative e sulle passioni.
È importante che dopo un evento così traumatico, e vissuto da sola per oltre quattro anni, senza nessuno che la confortasse e aiutasse, Esperanza possa superare questo momento in cui si sente persa e smarrita, pensare a un progetto di vita, riacquistare sicurezza, autostima e voglia di vivere. È questo il lavoro che abbiamo iniziato a svolgere con lei e con tutta la sua famiglia, vittima di una serie di eventi che hanno bisogno di parecchio tempo prima di essere accettati e superati. Come OVCI offriamo sempre tutto il supporto della nostra equipe multidisciplinare, tutto l’affetto e la vicinanza possibili, per aiutare questa famiglia e tante altre presenti in tutta la provincia. Con l’aiuto dell’avvocato, i genitori hanno sporto denuncia contro il nonno materno e adesso il caso è stato sottoposto anche alla commissione di protezione dei diritti umani, che svolgerà di qui in avanti tutte le indagini insieme alla polizia, la quale ha garantito protezione a tutta la famiglia.
A distanza di quattro mesi dalla presa in carico, Esperanza sta meglio, ha recuperato quasi totalmente la sensibilità e inizia a muoversi da sola facendo piccoli passi in casa, aiutata e sostenuta da tutta la sua famiglia e dagli operatori di OVCI. Sappiamo che ci vorrà del tempo per tornare alla normalità, e sarà una dura prova vivere il presente affrontando la realtà e la giustizia. Ma noi siamo con Esperanza e la sua famiglia e OVCI sarà sempre presente al loro fianco, sempre gratuitamente, sempre senza compromessi, fino a quando ne avranno bisogno.
Massimo Emanuele Rubino, Casco Bianco SCU con OVCI in Ecuador