L’Eid al-Fitr (letteralmente « festa di fine del digiuno ») dello scorso 10 aprile ha sancito la conclusione del Ramadan, periodo sacro per i musulmani della durata di circa 30 giorni.
Nell’ultimo mese ci siamo abituati ad una nuova quotidianità scandita da ritmi diversi e sicuramente più lenti.
Qui in ufficio tutti i nostri colleghi musulmani hanno osservato il digiuno dall’alba al tramonto e Giona ed io abbiamo provato a rispettare - anche se in un modo tutto nostro - le “regole” del mese sacro. Il nostro nuovo pranzo si è ridotto ad un caffè o un tè a casa di un’amica, accompagnato da un paio di datteri o di gateaux marocains che ci ha aiutati a concludere la giornata lavorativa senza troppe difficoltà.
Fino al tramonto la città era come addormentata, i rumori delle macchine e il vociare delle persone appena percettibile, salvo i consueti ed intramontabili litigi tra tassisti che hanno fatto fatica ad assopirsi anche durante un mese in cui si dovrebbe cercare di rispettare precetti d’amore e solidarietà (ovviamente si scherza, sarebbe impossibile riuscire a mantenere un temperamento mansueto per un intero mese, e forse anche malsano).
Intorno alle 18 - l’orario del tramonto oscillava tra le 18.35 e le 18.50 - l’impazienza cominciava a farsi sentire, soprattutto attraverso il clacson delle macchine che sfrecciavano verso le case per rompere il digiuno. Tutti i giorni verso quell’ora tornando a casa venivamo inebriati dall’odore di msemmen e altre prelibatezze che aleggiava nel nostro palazzo.
Ricordo che per il primo Ftor (in marocchino indica la colazione, ovvero il primo pasto della giornata immediatamente dopo il calare del sole) ci siamo riuniti tutti a casa di alcune amiche e abbiamo spezzato il nostro “digiuno” con un bicchiere di latte e un dattero, per poi continuare con le pietanze più svariate, dolci e salate, marocchine e della cucina occidentale. La sensazione più suggestiva è quella che ho provato poco prima del colpo di cannone e del richiamo del muezzin: un silenzio assoluto, quasi assordante, tutta la città in attesa, tutti aspettavamo quel momento e solo quando abbiamo iniziato il Ftor mi sono resa conto che in realtà ciò che prima avevo interpretato come impazienza non era relativa alla fame o alla sete, ma alla bellezza della convivialità e alla gioia di apprezzare dei gesti comuni senza più darli per scontati.
Il Ramadan in generale non è un periodo molto facile per chi, come me, non è particolarmente amante della tranquillità e della “vita lenta”. Eppure mi sento grata, da non musulmana trapiantata in una realtà costellata da nuove abitudini provvisorie ma che allo stesso tempo richiedono un rapido adattamento, per aver potuto vivere una fetta così grande e importante della cultura e della religione islamica, di cui generalmente sentiamo parlare al telegiornale, immaginandola unicamente come un immenso sacrificio e raramente come un mese scandito dall’attesa della gioia, che rende quest’ultima ancora più intensa ed autentica.
Giulia Romano, Casco Bianco SCU con OVCI in Marocco