Ogni giorno ci troviamo di fronte decine di bambini, ognuno di loro porta con sé una patologia, una disabilità, un disagio. Come tutti i fardelli, anche questo cambia in base al modo in cui viene visto, trasformandolo o meno in un peso.
Ogni giorno mi trovo di fronte a gesti, gesti da fare o gesti da non fare. A uno sguardo ferito si può rispondere con indifferenza, oppure con uno sguardo di cura.
E ogni giorno, di fronte alle difficoltà, di fronte alle ferite provo a creare momenti nuovi, a sollevare, a far passare la luce dalle crepe di un’umanità che ci viene offerta.
A volte sopraffatto dalle fatiche quotidiane mi dimentico, o forse non vedo, quanto sia importante prestare attenzione a quello che facciamo. Un gesto senza attenzione, senza cura è un gesto vuoto, fatto tanto per fare.
E mentre sono lì distratto da questa bella umanità e concentrato su di me, arriva fortunatamente una madre che mi saluta, mi dà un cinque e una stretta di mano; oppure un bambino entra nel mio ufficio, mi guarda meravigliato (in fondo sono un Kawaja) e allora io apro il cassetto e gli offro una caramella.
Mi sorprendo di quanto ogni giorno io provi ad impegnarmi, per dare attenzione ai gesti e quante volte invece mi smarrisca. In fondo, di fronte a questa umanità mi rendo conto che non sono solo io a fare gesti che curano, ma tutte le persone che sono attorno a me e assieme creiamo frammenti di vita, anche solo per un attimo.
In fondo nessuno si salva da solo, neanche quando siamo noi che “aiutiamo” loro, stiamo sempre scambiandoci qualcosa.
Matteo Ghini, Capo progetto Corso di Laurea Human Development a Juba