Atterrare di nuovo a Juba è come immergersi in un vero e proprio deserto di sabbie mobili: non solo ovviamente per l’afa che ti accoglie una volta sceso dall’aereo! È un turbinio di sensazioni che fa disorientare in pochi secondi: il chiacchiericcio ininterrotto delle persone, il movimento casuale di auto, bici, animali, il fastidio della terra rossa che ad ogni respiro riempie narici e polmoni, il clacson delle auto che vogliono farsi strada nella confusione di umanità che si riversa nelle strade e, immancabile, le voci di molti che gridano “Khawaja! (uomo bianco!)”.
Sono Elena, logopedista di Vicenza. Nel 2022 sono partita per il Sud Sudan, direzione Juba, come professionista nel progetto CURE “Costruzione di una rete efficace di servizi sanitari e riabilitativi nella città di Juba”, finanziato dall'Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Nel 2023 sono tornata di nuovo a Juba, al Centro di Riabilitazione Usratuna, unico centro riabilitativo per bambini presente nel Paese che offre il servizio di logopedia. Sono tornata per affiancare i logopedisti nel loro lavoro e insegnare come docente al Saint Mary’s College al Corso di laurea in Scienze Riabilitative.
Ed eccomi qui, a condividere con voi parte del viaggio, indescrivibile nella sua complessità e nelle sue sfumature, in una semplice pagina…
E riparto dalla parola Khawaja, da queste semplici 7 lettere che hanno rappresentato per me una sfida. Andare oltre a questa etichetta e far andare oltre l’etichetta mi ha richiesto un grande sforzo e molto lavoro con i colleghi. Abbattere il pregiudizio e soprattutto la distanza che questa parola porta con sé, mi ha permesso di vivere l’esperienza al massimo. Nelle due settimane trascorse a Juba mi sono sentita parte attiva e operosa nella costruzione del centro che prosegue ininterrotta da ormai 40 anni: un tassello di un affascinante mosaico che si prodiga tutti i giorni per garantire una migliore qualità di vita a bambini e famiglie che lo frequentano, con tutte le sfide annesse e connesse che un paese giovane, povero e fragile come il Sud Sudan porta con sé.
Inizio il mio primo giorno di lavoro camminando tra i corridoi del centro, incrociando di nuovo visi amici e familiari, travolta dagli abbracci e dai sorrisi dei terapisti, e non posso fare a meno di notare tutti gli enormi cambiamenti che sono stati fatti in un anno. In particolare, un cartello che lo scorso anno non c’era, appeso fuori dalle stanze dove si fa logopedia mi colpisce. Recita all’incirca così: “Ad Usratuna i nostri logopedisti portano avanti circa 700 trattamenti, aiutando più di 200 bambini ogni anno”. Sono numeri incredibili, se penso che nella pratica vuol dire che 200 bambini in più sono stati supportati e accompagnati a trovare un modo migliore per comunicare, per alimentarsi, per apprendere. E questo grazie al lavoro instancabile dei tre logopedisti del centro! Hillary Ladu, Yangi Rose e James Loboi: i miei compagni di viaggio!
Loro tre sono stati una forte leva per il mio ritorno in Sud Sudan, assieme ad una frase che il Cardinale Parolin mi ha detto nel 2022 durante la sua visita al Centro Usratuna. Una frase che mi è rimasta incastonata dentro e che è stata per me guida durante il tempo di permanenza a Juba: “È bello sapere che c’è qualcuno che si prende cura delle persone che curano”. E se è vero che l’incarico che mi era stato assegnato in Italia era quello di insegnare, aiutare a migliorare, "fare qualcosa per", quello che ho trovato è stato uno scambio genuino di crescita personale e professionale.
Ho speso molte ore della mia giornata selezionando contenuti e informazioni che potessero migliorare la qualità dei trattamenti. Ho preparato slide su slide per dare degli strumenti pratici ai logopedisti. Ho messo al servizio i miei anni di formazione e studio. Ho avuto spazio per condividere e confrontarmi su quelle che sono sfide che ci coinvolgono come professionisti sanitari e come persone.
Ma ho anche imparato a comunicare con la lingua dei segni. Ad inventarmi trattamenti in un contesto di povertà di risorse e strumenti specifici. A farmi guidare dai colleghi nel superare la sensazione di impotenza davanti a situazioni di bambini e famiglie che sembrano impossibili da affrontare. A condividere la frustrazione come logopedista nel non avere risposte pronte per ogni bambino che mi si presentava davanti. Ho salutato Usratuna con la consapevolezza tangibile e concreta del fatto che “l’intera squadra genera valore e possibilità nuove”.
Mi viene alla mente un ultimo pensiero, prima di concludere, che trova forma nel verbo “continuare”. Una parola che è nel contempo un insegnamento che mi porto in Italia e un augurio per tutti gli amici, colleghi, collaboratori e volontari che sono passati e che passeranno per Usratuna. Un verbo, 10 lettere…
… per continuare a mantenere un’attenzione costante a questa città e a questo Stato, non solo nei momenti delle grandi emergenze o di straordinarietà. Uno Stato che sta sbocciando, forte della sua vitalità e giovinezza, ma al contempo indebolito dalle tensioni interne frutto della storia recente che si porta alle spalle;
… per continuare a portare una cura quotidiana ad Usratuna, facendo bene il bene. Curando persone, facendo riabilitazione, insegnando, fornendo ausili. Ognuno con la propria competenza e unicità;
… per continuare a progettare e costruire: sognare nuovi orizzonti, dare loro una forma concreta, costruire possibilità, innovandosi e mettendosi in gioco giorno dopo giorno. Ovviamente “Bera, bera! Piano, piano!”;
… per continuare a fare la differenza e lavorare, per creare una migliore qualità di vita per le persone che si affidano al Centro. “For all the children in the world”, come recita il cartello che accoglie tutti coloro che entrano ad Usratuna;
… per continuare a mettere al primo posto la dignità, l’inclusione, l’autonomia, il diritto di crescere di ogni persona.
Elena Lobbia, esperta rientrata da Juba