Sono venuta per la prima volta a Juba nel 2014 e già da tempo il Centro di Usratuna aveva stilato un accordo con due ospedali ugandesi, il Cure Hospital di Mbale circa 200 km a nord est di Kampala e il CoRSU hospital di Kisubi circa 20 km a sud di Kampala, per inviare i bambini che avevano necessità rispettivamente di interventi neurochirurgici e di interventi ortopedici o di chirurgia plastica.

Tra le tante patologie che affliggono i bambini che arrivano al Centro di Usratuna, infatti, ci sono l’idrocefalia e la spina bifida che pongono spesso i bambini in pericolo di vita, le più varie deformità ossee, ustioni di ogni tipo e il “labbro leporino” che disturba notevolmente l’alimentazione dei neonati che non riescono a succhiare.

Si organizzavano, allora, dei piccoli gruppi di mamme (in modo che si sostenessero a vicenda), si provvedeva al biglietto dell’autobus e al visto per passare il confine e poi l’amministrazione provvedeva a pagare il costo degli interventi direttamente agli ospedali. Già una organizzazione complessa, ma che si è via via complicata.

Quest’anno in particolare ho trovato, al riguardo, una situazione esplosiva: la pandemia Covid aveva interrotto per mesi la possibilità di viaggiare perciò da quando si è potuto riprendere questa importante attività fervono le partenze, i viaggi, gli appuntamenti, i rientri, i controlli.

Nei due giorni precedenti la partenza vengono preparati i documenti di viaggio e viene fatto il Covid test. Sembra semplice a dirsi, ma questo richiede numerosi accessi all’ufficio preposto e bisogna letteralmente tallonare il medico per accompagnarlo al centro ad eseguire i tamponi, il cui esito spesso arriva soltanto la mattina della partenza. E intanto le mamme e i loro bambini aspettano carichi di incertezza, speranza, affidamento. La criminalità dilagante ha reso insicuro muoversi coi mezzi pubblici che vengono spesso assaliti da bande armate, perciò per ovviare alla pericolosità del viaggio, si noleggia un’”ambulanza”, termine assolutamente improprio in quanto si tratta di un furgoncino vuoto in cui mettiamo due materassi perché mamme e bimbi possano sedersi o sdraiarsi. L’unica qualità di questo mezzo è che ha la grande croce rossa che lo rende riconoscibile e in qualche modo più sicuro.IMG 7420

Inizia finalmente il lungo viaggio: circa 4 ore per arrivare al confine con l’Uganda e circa altre 7 per arrivare con un altro mezzo all’ospedale di destinazione. Come se non bastasse, però, il passaggio del confine richiede un tempo incredibilmente lungo e complesso non solo per il controllo documenti ma anche perché i due mezzi si devono incontrare. Da qui ci si chiede quanto ampio sia e quanta confusione possa esserci alla frontiera tra Sud Sudan ed Uganda, fatto sta che, nonostante siano muniti di cellulari, i due autisti ci impiegano un bel po’ a trovarsi e a fare lo scambio di pazienti. Sì, perché il mezzo che ha accompagnato il gruppo di mamme e bambini da Juba al confine riporta a Juba i bambini già operati di ritorno dagli ospedali ugandesi.

Per le mamme che vanno in Uganda la speranza si intreccia alla fatica del lungo viaggio che ancora le attende e all’incognita dell’intervento, mentre per le mamme che ritornano la speranza si va concretizzando in un miglioramento della situazione, ma si affianca comunque alla stanchezza e al desiderio di tornare a casa. Spesso arrivano a Juba in tarda serata e le sorelle della Comunità sono sempre qui ad attenderle, a dissetarle, a preparare il latte per i bambini, a supportarle perché trovino chi le viene a prendere o le può riaccompagnare a casa… a volte, se si fa troppo tardi, a preparare una stanza perché possano trascorre la notte al Centro.

IMG 7424Dovranno tornare per i controlli, ma da qualche anno i follow up vengono fatti a Juba da personale del nostro dispensario, opportunamente formato, che invia in Uganda solo i casi problematici. Un primo passo per poter ipotizzare anche che alcuni interventi vengano eseguiti a Juba, se dovessero migliorare le condizioni igieniche degli ospedali locali. Per questo la strada, in senso figurato, è ancora lunga… intanto continuiamo a sostenere le mamme nella lunga strada, quella reale, per l’Uganda nel loro vero e proprio “viaggio della speranza”.

Silvana Betto, membro del Consiglio ed esperta fisioterapista per OVCI

 

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