Ho avuto la possibilità di ritornare a Juba per due settimane ed è inutile nascondere la gioia di questa opportunità dopo tre anni di chiusura data dal Covid e molti sentimenti hanno accompagnato questo mio breve ma intenso periodo.

Innanzitutto la gioia di rivedere le persone: il personale sud sudanese, i volontari, le piccole apostole e altre persone. Mi sono sentita a casa, come se non fossi mai andata via.  Era bello quando ci si vedeva al mattino salutarsi e lì il saluto ha un suo significato; fermarsi a chiedere come va la famiglia, il lavoro, ecc. e vedere come sempre che nonostante le innumerevoli fatiche, difficoltà che ogni giorno incontrano (spese di trasporto, frequenti malarie, familiari ricoverati in ospedale o deceduti) vanno avanti con la speranza che la situazione possa cambiare e con la certezza che il loro lavoro è un servizio che fanno alla loro gente e ai più poveri di loro.

IMG 7052Un altro sentimento è stato la tristezza nel vedere che la situazione del Paese era rimasta quella di prima se non peggiorata dal punto di vista economico e sociale. Fa male vedere la povertà delle persone in un Paese che ha delle risorse interne ma che per diversi motivi non vengono utilizzate per la crescita e lo sviluppo ma per altro.

La microcriminalità è aumentata e gli stessi sud sudanesi ne sono vittime, a volte anche in modo brutale da parte di bande che si sono costituite per togliere quel poco che le persone hanno.

Se vi capita invece di percorrere gli spazi del centro di riabilitazione, vi trovate con tanti bambini con varie disabilità che sono lì per i trattamenti di fisioterapia e del linguaggio; trovate anche quelli che devono partire per gli interventi chirurgici in due ospedali in Uganda perché a Juba non è possibile.

Ci sono anche quelli che vengono per frequentare la prescuola e appena vi affacciate ad una porta delle tre classi vi salutano con un sorriso grande, con un gesto delle mani e sono contenti di essere lì per imparare.

Ci sono poi tutte le altre attività e progetti con i beneficiari, dove gli operatori con i volontari di OVCI cercano di svolgere il loro servizio per cercare di migliorare la qualità della vita per quanto possibile in un paese dove l’aspetto sanitario ed educativo è estremamente povero.

C’è quindi lo stupore perché ognuno con la sua storia, con la sua professionalità, con le sue capacità, cerca di “farsi prossimo” e di “curare” persone che non sarebbero prese in considerazione perché mancanti di qualcosa. E’la goccia d’acqua che insieme a tante gocce diventa non l’oceano ma nel caso di Juba il grande fiume Nilo.

Questo è stato il mio ritorno a Juba! 

Manuela Vittor, Direzione Uffici OVCI Italia e Responsabile Risorse Umane 

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