È stato il mio sogno per tanti anni e già lo scorso anno ero stato preso per questo progetto con OVCI, un progetto di Sviluppo Inclusivo su Base Comunitaria in tutta la provincia di Esmeraldas, nel nord-ovest dell’Ecuador. Quasi non mi sembra vero di essere qua perché era così tanto tempo che immaginavo continuamente dentro la mia testa i luoghi, il lavoro e le persone ecuadoriane e l’anno scorso sarei dovuto partire ad aprile, ma è stato chiaramente tutto posticipato; ho quindi frequentato tutta l’estate 2020 la formazione generale e quella specifica a distanza  per prepararmi e con la speranza di riuscire a partire a settembre, ma purtroppo il progetto è stato definitivamente cancellato a causa della minaccia più grande a livello globale: il Covid-19. Inizialmente ero molto arrabbiato e scoraggiato, perché era tanto tempo che mi stavo preparando sia psicologicamente sia a livello logistico (mi sono licenziato a inizio marzo 2020) a questa grande sfida e improvvisamente a causa della pandemia tutte le mie certezze e i miei sogni sono crollati.

Sono fiero di aver avuto la tenacia e la flessibilità per adattarmi agli eventi imprevisti e mi sento molto fortunato ad essere atterrato in America Latina l’11 agosto, ovvero appena 2 giorni prima della comunicazione del Dipartimento che bloccava le partenze del Servizio Civile di molte destinazioni. Racconto tutto questo per dire che comprendo perfettamente ciò che stanno provando i miei compagni di Servizio Civile che ora sono in Italia in attesa di buone notizie.

Al mio arrivo ho scoperto che a livello nazionale sono stati molto stringenti per il contenimento della pandemia ed è relativamente poco che finalmente il Paese, ormai in ginocchio dal punto di vista economico, sta ripartendo. La settimana scorsa abbiamo visitato l’Hospital del Sur di Esmeraldas, il più grande di tutta la provincia, e il primario facendoci fare il giro ci rincuorava dicendoci che dall’inizio della pandemia non c’è mai stato un così basso numero di ricoverati e che le vaccinazioni stanno finalmente andando a ritmi più che soddisfacenti.

Le precauzioni sono rimaste stringenti: la mascherina è obbligatoria in qualsiasi luogo pubblico; l'igienizzante per le mani e gli spazi pubblici viene applicato in continuazione. Come sempre esiste una piccola percentuale di individui che non rispettano alla lettera la legge, ma mi sento di dire che la maggior parte delle persone che ho conosciuto qua fino a questo momento hanno molta paura del virus e quindi fanno moltissima attenzione.

Per quanto riguarda la mia esperienza fino ad ora sono veramente entusiasta. La realtà sta superando di gran lunga gli anni di immaginazione pre-partenza: dal punto di vista lavorativo il progetto è molto variegato e interconnesso con tante figure professionali e associazioni locali, di conseguenza le prime settimane sono servite tanto come formazione-tirocinio per riuscire a comprendere un po’ i meccanismi e i ritmi di lavoro e di trasporto locali, che sono completamente diversi da quelli europei. Nello specifico il mio ruolo principale è quello di effettuare, insieme a delle promotrici locali, delle visite domiciliari a persone che hanno una disabilità (soprattutto bambini) e che vivono in zone rurali in cui non esiste alcun tipo di servizio sanitario.

Il concetto dello SVILUPPO INCLUSIVO SU BASE COMUNITARIA è stupendamente affascinante, perché sto vedendo che nel momento in cui si arriva dai beneficiari io non sono più solo un fisioterapista, ma sono il collegamento tra la loro disabilità, la loro condizione di povertà e isolamento, ed i servizi minimi di assistenza a cui hanno diritto ma che nella maggior parte dei casi si tratta di un diritto che non sanno di avere. A questo punto è sì importante il mio lavoro pratico di riabilitazione della disabilità, ma è ancora più importante l’educazione del paziente e dei parenti che si prendono cura di lui (che spesso sono privi di qualsiasi conoscenza per poterlo gestire) per rendere il mio intervento più duraturo e funzionale nella quotidianità e nella difficile realtà in cui sono inseriti.

1È sicuramente un lavoro molto faticoso e complesso: per il difficile raggiungimento del paziente nelle zone rurali, per le condizioni di povertà estrema in cui vive (esacerbata dalla pandemia) e quindi per i pochi mezzi a disposizione e per il grande numero di beneficiari inclusi nel progetto. Per il momento sono ancora in fase di studio delle varie situazioni per poter dare il mio contributo al meglio. Ma le prime settimane mi hanno fatto assaporare una realtà molto stimolante e in cui c’è un bisogno vitale di volontari come noi, perché purtroppo nei progetti di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo, quello che spesso manca sono le risorse per poter sviluppare appieno il progetto e il personale tecnico specializzato che effettivamente lo metta in pratica. Proprio per questo motivo tutti quelli coinvolti nel progetto ci stanno facendo sentire importantissimi per il mantenimento e il potenziamento dello stesso e per poter aiutare il maggior numero di persone con disabilità e loro famiglie.

Fino ad ora, facendo un paragone con la mia esperienza lavorativa in Italia, non mi sono mai sentito così potenzialmente utile come adesso, qua, in questo lavoro. Perché il Servizio Civile è sì un accrescimento personale, ma in progetti come questo diventa un’attività operativa concreta con degli obiettivi e un enorme potenziale di crescita professionale.
La situazione è completamente diversa rispetto a un anno fa, quando non si sapeva come gestire la pandemia, perché la conosciamo meglio e nell’attività lavorativa essendo sempre stato a stretto contatto con le persone, mi rendo conto che se si indossano i dispositivi di protezione individuale e si rispettano le dovute precauzioni si può, anzi si deve andare avanti, perché tantissime persone stanno peggiorando in modo ancor più rapido la loro condizione di disabilità e di emarginazione proprio a causa del blocco dell’ultimo anno e mezzo.

Spero che i tanti miei colleghi a casa abbiano finalmente l’opportunità di partire per questa incredibile esperienza, perché se lo meritano quanto noi e soprattutto perché ce n’è così tanto bisogno.

Marco Richini, Casco Bianco OVCI in Ecuador

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